di Sabrina Mechella
Così si uccide un albero. Basta supporre che sia malato, che è pericoloso per l’incolumità della gente, una sega elettrica e vai. Una manciata di secondi, l’albero viene giù e i problemi sono tutti risolti. Viterbo, via Bachelet, ore 10. Tecnici e operai del Comune sono lì, armati di attrezzi e arnesi vari e a nulla servono le preoccupazioni della gente che ci tiene a difendere la vita di quelle due querce secolari. «Sono malate, lo ha certificato un agronomo incaricato dal Comune» sostiene Roberto Masella, geometra incaricato di seguire i lavori. Anche gli operai si difendono: «Eseguiamo solo quello che ci viene indicato di fare, non dateci la colpa». (Video http://viterbo.reteluna.it/it/index.php?page=video& id=9)
Sul posto alcuni abitanti e negozianti della zona, Lucio Matteucci, presidente dell’associazione Viterbo Civica, insieme ad alcuni suoi amici e qualche giornalista. «Ma non è possibile soprassedere per un paio di giorni al taglio degli alberi?», chiedono. «Giusto il tempo di far analizzare le piante da un esperto dell’Università della Tuscia – la facoltà di Agraria dista poche decine di metri – così da capire se effettivamente il taglio è l’unica soluzione al problema». Niente da fare, da palazzo dei Priori arriva i niet dell’assessore competente, Raffaella Saraconi, che senza ulteriori indugi condanna a morte le due grandi querce. La sega fa il suo lavoro, il taglio dura poche decine di secondi e l’albero, poco rumore, quasi discretamente, viene giù e muore. Non serve neppure l’intervento di uno zoologo della vicina università e di un ufficiale del Corpo forestale, arrivati sul posto a titolo personale («queste piante non ci sembrano così malate», affermano entrambi), a salvare le querce.
Matteucci a questo punto va a trovare l’ingegner Livia Piccoli, del settore Ufficio Manutenzione Rete Stradale, Verde Pubblico e Arredo Urbano, che lo riceve e gli spiega che c’è una relazione stilata da Domenico Agostini, tecnico forestale di Vetralla, che certifica che le due querce sono irrimediabilmente malate terminali e dunque pericolanti. Documento non accessibile nell’immediato: bisogna fare richiesta ufficiale al protocollo, ma tempo non ce n’è, l’altro albero ancora in piedi domani mattina sarà legna da ardere. Fuori dai denti all’ufficio Verde pubblico qualcosa da dire ce l’hanno: «Il problema è a monte, di chi ha urbanizzato all’epoca. Non si salvano le piante facendo bella figura prima, affogandole nel cemento poi». Solita storia all’italiana, viene da considerare: le responsabilità di chi gestisce la cosa pubblica non vengono mai identificate. Domani, venerdì 11 luglio, tocca a quell’altra pianta che dista non più di venti metri. Anch’essa imprigionata da anni dall’asfalto e dal cemento che le impedisce di assorbire acqua e di respirare.
Non sapremo mai se un’altra relazione di un altro agronomo sarebbe stata diversa, se magari avrebbe potuto proporre una diversa soluzione conservativa per evitare tutto questo. Di sicuro il cittadino è impotente di fronte alla decisione presa dall’alto e non ha il tempo materiale per verificare se quella decisione che lo riguarda – perché un albero secolare è un bene comune e prezioso – era davvero l’unica possibile.
Giovedì 10 luglio 2014
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