Redazione Online
Reteluna.it Viterbo crea un ponte con Gaza. Inizia da oggi il diario di Ramy Balawi, insegnante palestinese di storia a Gaza City che non ha nessuna pretesa giornalistica, bensì vuole essere una testimonianza di vita vissuta nel territorio. Ramy ha contattato la testata tramite la pagina facebook per far arrivare al nostro paese i drammi quotidiani della sua terra. Eccole.
A Gaza, dopo 8 mesi dall'ultima operazione militare israeliana (Margine Protettivo – Protective Edge), c'è ancora la stessa atmosfera di guerra: le rovine di migliaia di case distrutte si stagliano ancora lungo le vie di Gaza mentre più di 100mila persone hanno perso le loro abitazioni e vivono ancora nelle peggiori condizioni umanitarie. Sono più di 10mila le persone costrette a vivere nelle scuole dell'Unrwa, in condizioni pessime per la vita umana e centinaia di senzatetto vivono con i loro figli all'interno di caravan grandi quanto una cella. Alcuni quartieri residenziali, nella parte Est di Gaza, appaiono oggi come un cumulo di macerie tra un caravan e l'altro.
Questo nonostante le promesse fatte della comunità internazionale riguardo alla ricostruzione di Gaza durante la conferenza al Cairo lo scorso ottobre, quando si raccolsero 5,4 miliardi di dollari dei quali solo il 5% degli aiuti promessi dai donatori internazionali sono stati sborsati/pagati per riparare i danni subiti dalle case durante i bombardamenti. La ricostruzione sta procedendo molto lentamente a causa della mancanza di fondi e del blocco imposto dal 2007 dal governo israeliano che impedisce di far arrivare a Gaza persino il materiale edilizio necessario a garantire le minime condizioni di vita agli abitanti della Striscia e che costituisce l'ostacolo più grande per la ricostruzione.
Secondo quanto affermato da Oxfam il mese scorso con questo ritmo ci vorranno più di 100 anni per ricostruire Gaza. La totale riedificazione di Gaza sarà quasi impossibile da realizzare. La maggior parte delle macerie è inutilizzabile. I bambini continuano imperterriti a voler andare a scuola, a giocare tra le rovine di quelle che erano le loro case, recuperando i piccoli detriti che cercheranno di rivendere ai proprietari delle fabbriche.
Anche i gazawi che hanno la fortuna di avere ancora una casa non vivono in condizioni migliori.
Sei ore di elettricità al giorno, a volte meno: non è abbastanza per refrigerare il cibo. I negozi non riescono a vendere il cibo che è facilmente deteriorabile, soprattutto con l'arrivo dell'estate e l'aumento delle temperature. Devono occuparsi di far arrivare l'acqua corrente alle loro case, quando disponibile, e molti gazawi non sanno quando sarà il loro prossimo pasto.
L'unica centrale elettrica autonoma di Gaza è stata bombardata nel 2006. Ed è stata nuovamente colpita durante l'ultima offensiva militare israeliana. Ha ripreso a funzionare a capacità limitata, ma questo mese si è dovuta fermare in anticipo a causa di una disputa tra Hamas e l'Autorità nazionale Palestinese sulla distribuzione delle tasse. Il resto dell'elettricità di Gaza arriva via cavo da Israele o dall'Egitto.
“La situazione dell'elettricità a Gaza è notevolmente peggiorata dal 2006”, afferma Jamal al-Dardasawi, portavoce della Gaza Elettricity Distribution Company, compagnia elettrica locale, “hanno danneggiato la centrale elettrica e tutti i servizi correlati si sono bloccati”.
L'Autorità per l'energia elettrica di Gaza ha chiesto all'Autorità Nazionale Palestinese di smettere di tassare il carburante così da poter comprare altro carburante per ridare energia alla centrale elettrica. I cavi e le infrastrutture utili alla diffusione dell'energia elettrica sono stati tra i principali target degli attacchi di Israele durante la scorsa estate.
Persino prima dell'offensiva, l'elettricità arrivava a Gaza in blocchi di non più di otto ore, ognuno seguito da altre otto ore di assenza di energia, questo da quando è iniziato il blocco di Gaza nel 2007. Israele infatti usa l'elettricità come arma per fare pressione e influenzare negativamente la vita quotidiana dei gazawi. La mancanza di elettricità colpisce, ad esempio, le persone che vivono nei palazzi residenziali che devono aspettare magari anche più di cinque ore per poter prendere l'ascensore e salire ai propri appartamenti.
Gaza sta anche soffrendo una seria crisi idrica dovuta al blocco israeliano, che impedisce la costruzione di centrali per la desalinizzazione dell'acqua di mare, così come la mancanza di acqua nelle sorgenti. L'acqua che arriva alle abitazioni di Gaza perciò non è depurata ne potabile, a causa del sale. Inoltre, molte cisterne d'acqua e sorgenti naturali nella parte Est della Striscia, vicino al confine con Israele, sono state completamente distrutte durante i bombardamenti dell'ultima operazione militare. Le organizzazioni internazionali hanno disposto un progetto per distribuire acqua potabile alle abitazioni e alle scuole, mentre la maggior parte delle coltivazioni di Gaza sono state prese di mira dagli attacchi aerei israeliani e ora patiscono la mancanza di acqua.
Anche i problemi elettrici contribuiscono a rendere più difficile l'approvvigionamento delle riserve di acqua alle case, c'è una grave carenza anche del carburante necessario per far funzionare i generatori a causa del blocco israeliano e della distruzione della maggior parte dei tunnel di confine, utilizzati per l'ingresso del carburante a Gaza, da parte dell'esercito egiziano.
Secondo l'ultimo report dell'Unrwa, l'Agenzia delle Nazioni Unite per il soccorso e l'occupazione dei rifugiati palestinesi, nel 2006 i residenti di Gaza che dipendevano totalmente dagli aiuti umanitari erano circa 100.000, nel 2014 sono diventati più di 900.000.
La disoccupazione è praticamente duplicata, passando da 108.000 disoccupati del 2013 a più di 200.000 nel 2014. A causa del blocco imposto da Israele ed Egitto dal 2007, l'economia di Gaza è una delle più instabili al mondo. Il Pil pro capite dei gazawi è comparabile a quello dei più poveri paesi del mondo, mentre la disoccupazione giovanile è salita al 70%.
Makarim Wibisono, relatore speciale sulla situazione dei diritti umani nei Territori Palestinesi Occupati, sostiene che solo a Gaza siano 400.000 i bambini che necessitano di psicoterapia a causa dell'efferatezza degli attacchi israeliani.
A dispetto di tutte i report e le visite delle delegazioni internazionali, nonostante la pressione fatta da alcuni organi ed agenzie delle Nazioni Unite per la fine del blocco e isolamento di Gaza e per l'avvio delle attività di ricostruzione, necessarie per salvare la Striscia dal completo disastro, la frustrazione di massa a cui è sottoposta tutta la popolazione e la situazione catastrofica in cui versa Gaza stanno diventando insostenibili e non potranno che sfociare in un ennesima e inevitabile guerra.
Il mondo deve assumere la sua responsabilità morale e umanitaria nella tragedia di Gaza e fare pressione su Israele porre fine al blocco dei valichi, invece che osservare indifferente la sofferenza di un'intera popolazione. La priorità è quella di far arrivare a Gaza il materiale necessario per la ricostruzione delle case, delle scuole, della vita e della dignità dei suoi abitanti, così come è necessario rendere liberamente navigabile il mare di Gaza, per i viaggi come per il commercio, e dare ai gazawi la possibilità di andare a lavorare o studiare all'estero, esattamente come ogni altro paese sulla terra.
Al mondo non è richiesto più che l'implementazione e il rispetto dei valori umani fondamentali e delle leggi e dei trattati internazionali, così che la popolazione di Gaza possa finalmente vivere libera, tranquilla e in pace con il resto del mondo.
Chi è Ramy Balawi.
Ramy Balawi è un giovane palestinese di 26 anni e insegna storia nelle scuole elementari a Gaza City, nella Striscia. È l’autore della lettera pubblicata dalle testate italiane con cui Gaza ha salutato come un eroe Simone Camilli, il videoreporter italiano morto sul campo il 13 agosto 2014. Balawi è uno dei trenta protagonisti di: “Medin – trenta storie dal Mediterraneo”, un libro di Marco Cesario che racconta le storie di uomini, donne, scrittori ed intellettuali che abitano le terre del nostro mare.
Domenica 17 maggio 2015
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