di Sabrina Mechella
Il Lago di Vico è un malato molto grave, che negli ultimi quattro anni ha mostrato un lieve miglioramento. Una situazione, secondo i ricercatori, al limite dell’irreparabile, che necessita di un’azione forte e immediata, nelle mani a questo punto della politica. Fino a oggi troppo è stato detto e poco è stato fatto. Bisogna avere il coraggio di affrontare anche azioni forti che possono scontentare alcune categorie professionali.
Questo, in estrema sintesi il risultato di “Lo stato ecologico del Lago di Vico: 20 anni di studi”, la lunga e articolata ricerca condotta dall’Università della Tuscia sul bacino acquatico viterbese, realizzata grazie al contributo della Fondazione Carivit. Ed è proprio nella prestigiosa sede in via Cavour, a Viterbo, che è stato presentato stamattina questo importantissimo studio condotto da Giuseppe Nascetti, ordinario di Ecologia al Dipartimento di Scienze Ecologiche e Biologiche e dal suo staff. A presentare la ricerca Alessandro Ruggeri, rettore dell’ateneo viterbese, che ha poi passato la parola a Nascetti.
Dopo aver fatto una breve introduzione sulla storia del lago e sulla sua condizione generale, il professore si è soffermato sui dati raccolti in base a prelievi nell’acqua del lago realizzati dal 1994 a oggi.
«Il contesto storico del lago – ha esordito Nascetti – è quello che vede uno sfruttamento intensivo delle aree agricole circostanti coltivate per la maggior parte a noccioleti, dai carichi reflui incontrollati degli insediamenti urbani e turistico ricreativi sorti sulle rive. Questi fattori di intervento umano hanno visto, nel corso degli anni, l’alterazione del sistema lacustre che ha comportato diversi effetti, tra cui l’anossia (mancanza di ossigeno) che ha comportato l’eutrofizzazione delle acque».
Nelle slide mostrate dal professore, si notano chiaramente le quantità di fosforo, azoto nitrico e azoto ammoniacale del lago che, dalle basse percentuali degli anni ’70 sono schizzate in alto nel corso dei decenni, registrando il picco massimo tra il 2009 e il 2010, per poi calare leggermente nei successivi quattro anni.
«Il lago ha sofferto per le produzioni agricole della coltivazione del nocciolo e per l’uso massiccio di fertilizzanti azotati, che poi, a causa delle piogge, si sono riversati nel bacino lacustre, comportando l’aumento di queste sostanze nocive nelle acque – ha commentato Nascetti – e la relativa diminuzione di ossigeno».
Abbastanza eloquente, a questo proposito il grafico che mostra i valori minimi di ossigeno disciolto nel lago negli ultimi 40 anni: dagli 8 mg/l del 1970 alla profondità di -20 metri si è arrivati a 1 mg/l sempre alla stessa profondità. Impressionante, invece, la totale assenza di ossigeno a -30, -40 metri registrata nel 2009. E, in assenza di ossigeno, certi organismi viventi (come i pesci) non possono sopravvivere, a discapito di altri, come l’alga rossa, vero flagello del bacino viterbese perché altamente tossico per le persone. Una fioritura, come ha sottolineato lo stesso professore, che ha origini dirette dall’azione dell’uomo.
«Lo sanno bene i pescatori del lago – ha confermato Nascetti – i quali se vogliono pescare il coregone devono sistemare le reti a – 15 metri, perché sotto non possono più vivere». La classificazione del lago di Vico, tra il 1970 e l’’80 era di un livello tra “elevato e buono”. Nel 2009 si è passati a livello “scadente” e tale con classificazione, se resterà tale, si andrà incontro a sanzioni europee nel prossimo anno, perché saranno considerate legali quelle di livello “buono”.
«Negli anni abbiamo lanciato molti gridi di allarme – ha denunciato il professore – se all’inizio del 2000 avessimo dato retta ai dati che indicavano il pericolo imminente si sarebbe evitato il disastro attuale. Negli ultimi quattro anni si è notata una lieve inversione di tendenza, perché finalmente gli attori coinvolti – amministratori, coltivatori, commercianti – si sono riuniti intorno a un tavolo e hanno deciso di intervenire, raccomandando per esempio i fertilizzanti a lento rilascio, realizzando depuratori per gli scarichi urbani e limitando a 30 metri la distanza delle coltivazioni dei noccioleti dalle acque del lago. Ma il lago, seppure i dati mostrino un lieve miglioramento, è un malato molto grave. Se non si ripristina l’ossigeno a livello profondo e non si elimina l’azoto e l’ammoniaca sarà destinato a morire».
Diversi gli interventi nel corso del convegno composto da un pubblico di esperti del settore e persone direttamente coinvolte nel problema: tra queste il sindaco di Caprarola, Eugenio Stellifferi, il giovane vicesindaco di Ronciglione e delegato all’Ambiente, Mario Mengoni, l’ecologo Fabio Caporali, il climatologo Vincenzo Ferrara. Alcuni degli interventi hanno suggerito come possibile soluzione la coltura di particolari graminacee sotto i noccioleti, in grado di attingere all’azoto presente nei fertilizzanti. Oppure la coltivazione di tartufi, i quali sono particolari filtri che si nutrono proprio di questa sostanza.
Proposte molto interessanti, che fanno pensare al fatto che se si vuole la soluzione al problema si trova, ma è solo una questione di volontà politica: «Nel 2012 l’Università della Tuscia ha presentato alla Provincia di Viterbo un progetto che prevede una serie di interventi tecnici per impedire l’arrivo dei nutrienti nocivi nel lago di Vico – ha concluso Nascetti -. Questo progetto giace in qualche cassetto da allora, chissà se qualcuno mai deciderà di prenderlo in esame di metterlo in pratica».
Venerdì 12 dicembre 2014
© Riproduzione riservata
3886 visualizzazioni