Cuccioli affogati, condannati a sei mesi gli ex gestori del canile Fontana

Sullo stesso argomento
Ultimi articoli
Newsletter

Viterbo | cronaca giudiziaria

Cuccioli affogati, condannati a sei mesi
gli ex gestori del canile Fontana

Il giudice del Tribunale di Viterbo ha emesso la sentenza nei confronti di Anna Maria Fontana e Carmelo Cassone per uccisione di animale (art. 544 bis) e al pagamento delle spese processuali, assolti per il capo B (maltrattamento, art. 544 ter)

Redazione Online

Uno spezzone del video in cui si vedono i cadaveri dei cuccioli
Uno spezzone del video in cui si vedono i cadaveri dei cuccioli

Canile Fontana, condannati a sei mesi di reclusione Anna Maria Fontana e Carmelo Cassone per uccisione di animale (art. 544 bis) e al pagamento delle spese processuali; assolti per il capo B (maltrattamento, art. 544 ter). Il pm Lidia Pennacchi aveva chiesto la condanna per entrambi a tre mesi di reclusione.

Si è chiusa così la vicenda che ha visto coinvolti i due coniugi imputati, all’epoca dei fatti gestori della struttura privata sita a Viterbo che ospitava cani randagi in convenzione con il Comune. Stamattina nel Tribunale di Viterbo il giudice Giacomo Autizi ha chiuso in primo grado la vicenda risalente al marzo 2012, causa che rischiava di andare in prescrizione. Oggi in aula presente solo Anna Maria Fontana, che ha ribadito la sua estraneità ai fatti e affermando che gli operai cingalesi, principali accusatori della coppia, erano stati licenziati dal canile perché “si davano malati mentre in realtà svolgevano altrove lavori di giardinaggio in nero”. La signora Fontana ha spiegato in aula che era sempre presente nella struttura: “In pratica ci abitavo e mi assentavo solo per andare a fare delle compere” e che sarebbe stato assurdo uccidere i cuccioli “perché il Comune dà dei soldi per ogni cane presente in canile, sarebbe stato un controsenso”. Ha anche sottolineato che spesso era lei a sterilizzare a proprie spese i cani perché la Asl aveva liste di attesa troppo lunghe e che in effetti nel corso degli anni erano nati dei cuccioli, perché “maschi e femmine vengono messi insieme nella stessa gabbia per evitare conflitti tra maschi”.

Soddisfazione e commozione espressa a caldo da Loredana Pronio, presidente di Federfida onlus, presente oggi in aula, che denunciò la vicenda alla Procura di Viterbo su segnalazione di tre volontarie viterbesi (video intervista): "Sono commossa e molto felice. Ringrazio il giudice che è stato imparziale e molto attento, dedico questa sentenza a Elvia Viglino, storica animalista viterbese che ha speso tutta la vita per gli animali. Denunciate, sempre, perchè la giustizia esiste, come è stato provato oggi in questo tribunale". «Nel marzo 2012 la nostra federazione fu contattata dalle tre volontarie – spiegò in aula nella precedente udienza Stefania Pierleoni, vice presidente dell’associazione – le quali ci chiesero aiuto rispetto a una situazione di probabile reato a danno di animali e ambiente più volte verificatosi nel canile Fontana di Viterbo. Il 17 marzo, quindi, incontrammo le tre volontarie sopra citate che ci fecero conoscere due uomini di nazionalità cingalese. I due signori lavoravano come operai nel canile privato in questione e tra le varie mansioni avevano anche quelle di accudire gli animali. Ci raccontarono che si erano dimessi da quel lavoro perché non riuscivano più a sopportare le violenze fatte nei confronti dei cani, in particolare uccisioni crudeli e deliberate. Ci specificarono che durane il periodo in cui avevano prestato servizio nel canile il numero dei cuccioli uccisi era elevatissimo, frutto della mancata sterilizzazione delle femmine (nella denuncia presentata dalle rappresentanti di Federfida si parla di 1200-1400 cuccioli ndr). A riprova di quanto detto i due operai ci fecero visionare un video realizzato nella struttura, in cui si vedevano dei cuccioli appena nati presi e affogati con l’acqua in un secchio. Nel video si vedeva anche che i cadaveri dei piccoli venivano gettati in alcuni sacchi neri e poi smaltiti come normale spazzatura. Fui colpita da una scena molto drammatica, in cui una cagna bianca e grigia veniva trattenuta perché voleva andare dai suoi cuccioli che stavano morendo affogati in un secchio. Per avere la riprova del fatto che le cagne della struttura non venivano sterilizzate consigliai a una volontaria di adottarne una. Così fece, la cagnolina era ospite dal 2006 e nel 2011, quando fu adottata, era ancora integra».

Proprio uno degli ex operai cingalesi, C. Patirana, confermò in aula quanto dichiarato alle tre volontarie: «I cuccioli appena messi dentro al secchio nell’acqua cercavano di nuotare, poi affogavano. Poi venivano smaltiti come normale spazzatura». Circostanza confermata anche dall’altro operaio cingalese, Sisira Kumara: «Vedevo le cagne incinte e poi non vedevo più i cuccioli. Mi chiesero di uccidere i piccoli ma io sono buddista e la mia religione mi vieta di fare del male». Tre testi della difesa, Giuseppe Dore, Sonia Desideri e Nicodemo Franconeri nelle udienze precedenti, hanno invece raccontato un’altra verità. Dore fu chiamato da settembre 2011 a marzo 2012 in canile in veste di investigatore privato per sorvegliare gli operai: «Riscontrai una totale mancanza di voglia di lavorare, inoltre appurai che loro si assentavano durante l’orario di lavoro per svolgere l’attività di giardinieri in una villa a Bagnaia. Non ho mai assistito a uccisioni»

Sonia Desideri, responsabile dell’associazione M.a.r.e.ha confermato le deposizioni rese nelle scorse udienze: «Sì, erano messi insieme cani maschi e femmine ma arrivavano in canile non sterilizzati per colpa della Asl e comunque i cuccioli venivano poi tenuti a spese dei gestori della struttura». Nicodemo, allevatore di cani di razza Boxer e Bassotto, ha confermato di conoscere bene il canile e di esserne stato frequentatore assiduo dal 2007 in poi: «Mi recavo sul posto anche più volte a settimana e non ho mai assistito a uccisioni di cuccioli. Poteva capitare che io chiedessi ai gestori di far allattare i piccoli delle mie cagne che avevano poco latte alle femmine del canile che avevano partorito». Il giudice Autizi, però, ha ritenuto che gli elementi a disposizione delle corte fossero inconfutabili e ha quindi sentenziato la condanna per entrambi gli imputati andando anche oltre la richiesta del pubblico ministero.

Lunedì 9 luglio 2018

© Riproduzione riservata

52107 visualizzazioni

Commenti
Lascia un commento

Nome:

Indirizzo email:

Sito web:

Il tuo indirizzo email è richiesto ma non verrà reso pubblico.

Commento: