di Gianni Tassi
Storia vecchia quella della discarica di rifiuti di Tarquinia. Ancora più vecchia di un paio di mesi di quella poi passata alla storia come la Tangentopoli milanese e Mani pulite. Così famosa da essere ricordata, 23 anni dopo, in una fiction televisiva, “1992”, ideata e interpretata da Stefano Accorsi, che in dieci puntate verrà proposta su Sky a partire dal prossimo 24 marzo e che tanto successo ha ottenuto al recente festival del cinema di Berlino. Ma non tutti sanno che la prima vera inchiesta giudiziaria sulla corruzione esplose a Viterbo. Discarica uguale tangenti, uguale sei arresti eccellenti. Un senatore della Repubblica e amministratori pubblici che finiscono in galera per aver incassato mazzette milionarie dai titolari dell’impianto di smaltimento. Nella Tuscia accade prima ancora che a Milano dove Mario Chiesa, esponente del Psi milanese e presidente del Pio Albergo Trivulzio, due mesi dopo farà venire a galla la questione della tangentopoli più clamorosa della storia della repubblica italiana.
Una vicenda, quella viterbese, che esplode come una bomba a metà dicembre del 1991. Tutto comincia con la denuncia di alcuni sindaci della Tuscia costretti a conferire i rifiuti comunali nella discarica tarquiniese. La mattina del 17 gli uomini della Squadra mobile della Questura, su disposizione del sostituto procuratore Donatella Ferranti (oggi presidente della Commissione Giustizia alla Camera) e diretti da Vincenzo Cianchella, bloccano l’allora presidente dell’amministrazione provinciale, Claudio Casagrande, all’uscita della discarica e gli trovano nella tasca della giacca 15 milioni di lire in contanti, banconote in precedenza tutte segnate. Secondo il sostituto procuratore che conduce le indagini è la mazzetta incassata poco prima proprio dalle mani dei due titolari dell’impianto di smaltimento, i fratelli Ottavio e Pietro Castelnuovo.
Oltre ai soldi gli ispettori Angelo Romano e Danilo Garulli trovano anche un elenco di nomi con le rispettive quote spettanti. Prima Casagrande poi Lodovico Micci, assessore provinciale all’Ambiente, vengono portati in Questura e interrogati fino a tarda notte. L’arresto però scatta due giorni più tardi. Micci finisce in carcere mentre Casagrande, intuendo gli avvenimenti, si rende irreperibile per 14 giorni e si presenterà spontaneamente sulla porta del carcere di Viterbo in compagnia del suo avvocato. L’11 gennaio le manette scattano ai polsi di tre amministratori comunali di Tarquinia, anche loro socialisti e anche loro accusati di concussione: il vicesindaco Domenico Natali, e gli assessori Angelo Renzi e Giuseppe Zanoli. Il nome del senatore Roberto Meraviglia, nonché segretario provinciale del Partito Socialista, tarquiniese pure lui, rimbalza più volte sui tavoli delle redazioni ma si salva protetto dall’immunità parlamentare, nei suoi confronti la Procura non può avviare alcuna indagine.
Intanto l’inchiesta giudiziaria va avanti tra interrogatori, richieste al Tribunale della Libertà e incidenti probatori. Da Viterbo, il 15 gennaio, parte la richiesta di autorizzazione a procedere nei confronti del senatore Meraviglia. Ma non sarà poi necessaria, l’esponente socialista viene scaricato dal suo partito che non lo ricandida alle Politiche del 4 aprile e 20 giorni dopo decade ufficialmente dalla carica parlamentare. Il 23 maggio, a cinque mesi dai primi clamorosi avvenimenti, anche per lui si aprono le porte del carcere di Santa Maria in Gradi.
Il 7 dicembre 1992 la sentenza del tribunale di Viterbo. Meraviglia e Casagrande vengono condannati a 4 anni di carcere, per Micci 3 anni e quattro mesi, per Natali un anno e dieci mesi. Per tutti c’è anche l’interdizione perpetua dai pubblici uffici, il risarcimento alle parti civili e il pagamento delle spese processuali. Zanoli e Renzi in precedenza avevano patteggiato a 23 mesi.
Lunedì 16 marzo 2015
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