di Sabrina Mechella
“I blitz arrivano di notte e durano circa due minuti. Qualche sassata, bottigliata alle finestre e loro scappano. Quando i carabinieri arrivano, alle due di notte, ormai non c’è più nessuno. E questo va avanti da quattro anni”. È quanto ha denunciato il giornalista viterbese Ugo Baldi oggi nell’incontro “Diritto di cronaca e lotta alle mafie” che si è tenuto stamani nella Sala Tevere della Regione Lazio. Lo storico collaboratore de Il Messaggero (edizione di Viterbo) ha raccontato la sua storia per la prima volta in pubblico. Con lui oggi nell’incontro organizzato da Associazione Stampa Romana e Osservatorio per la Legalità della Regione Lazio alcuni giornalisti minacciati a Latina, a Viterbo, in Ciociaria, a Roma e i cronisti che hanno raccontato Mafia Capitale, denunciati dall´Unione Camera Penale.
“Il problema non è solo il mio, ma della mia famiglia – ha spiegato Baldi -. Io ho un nipote di quattro anni e sono stato costretto a portarlo a Roma perché la finestra della sua camera dava proprio sulla strada. Una notte si è svegliato spaventato e mi ha detto “Nonno, ma che succede?”. È stato un momento difficile perché ho visto mio nipote col terrore. Così a quel punto ho detto a mia moglie di rimandare mia figlia a Roma e di vivere solo noi a Civita Castellana. Ho fatto la denuncia dai carabinieri perché la mia situazione è imbarazzante anche per i vicini di casa. I militari mi hanno detto “Dacci indicazioni, da dove iniziamo le indagini?”. Io non faccio l’investigatore, però qui c’è un problema serio che coinvolge anche la mia famiglia. Devo dire che ho trovato appoggio tramite il sindacato (Alessia Marani, Gianni Tassi e Paolo Butturini che sono qui presenti e che conoscono la vicenda), però è difficile, non so più a chi raccontarlo. Sono andato in Procura, mi hanno detto che sanno della situazione, che la stanno valutando, però vivo questa storia da troppo tempo. L’ultimo blitz c’è stato il 24 agosto: non ero in casa, c’era mia sorella che mi ha detto: “Hanno fatto l’ira di Dio: bottigliate, sassate alle finestre”. Due minuti di caos e poi scappano. Io devo dire che, al di là del sindacato, le forze dell’ordine non ci seguono, non so perché. Forse perché qualche articolo li ha messi in difficoltà, non lo so. Però è davvero difficile”.
I numeri parlano da soli: 2586 giornalisti italiani minacciati dal 2006 a oggi, di questi 441 solo nel 2015. Si va dalle aggressioni fisiche, ai danneggiamenti alle auto e ai beni personali, agli avvertimenti a voce, alle lettere minatorie, fino ad arrivare ai mezzi più sofisticati, ma non per questo meno pesanti: le querele temerarie, che intimidiscono il cronista che rischia di vedersi privato, in caso di condanna, persino della propria abitazione. Un tema doloroso, perché riguarda non solo di diretti interessati, ossia i giornalisti, ma i cittadini tutti, perché nell’articolo 21 della Costituzione è citato appunto il diritto all’informazione. Numeri che sono raccolti nel sito www.ossigenoinformazione.it che raccontano storie di cronisti di tutta Italia e di ogni categoria – professionisti, contrattualizzati, collaboratori e freelance – che vivono questo incubo giornaliero.
Nell’incontro di stamani l’intervento di apertura del presidente della Regione Lazio, Nicola Zingaretti, a seguire di Lazzaro Pappagallo, segretario di Associazione Stampa Romana, di Gianpiero Cioffredi (presidente Osservatorio Sicurezza e Legalità Regione Lazio) e di Claudio Fava, vicepresidente della Commissione Antimafia.
“Dobbiamo creare laboratori in cui associare il rispetto della legge - ha commentato Pappagallo - che può vedere un´azione forte del sindacato dei giornalisti e degli enti locali. Si può educare alla legalità e a un giornalismo libero, lavorando sulle scuole, sui ragazzi, semplicemente raccontando storie di ordinario e legittimo lavoro. L´impegno di Stampa Romana, nello specifico, è creare condizioni contrattuali, a partire dal prossimo rinnovo, in cui precari, autonomi e freelance possano scrivere notizie e raccontare fatti con più garanzie e più tutele legali”.
“Per le mafie controllare i propri territori, costruire consenso e legittimità sociale vuol dire cercare di sottomettere la libera informazione, pretendere rispetto, costringerla al silenzio – ha aggiunto Cioffredi -. Chi minaccia un giornalista lede profondamente il diritto dei cittadini ad essere informati. Parliamo allora di una grande questione democratica che non ci può lasciare indifferenti”.
“Sicuramente oggi c’è più consapevolezza e si denuncia di più non solo le minacce fisiche, ma anche le lettere minatorie e altro ancora – ha commentato Sandro Ruotolo, giornalista di Servizio Pubblico -. Sul sito di Ossigeno per l’informazione si leggono dati di minacce in salita perché i colleghi finalmente hanno il coraggio di denunciare. C’è da dire che c’è una sottovalutazione del problema perché siamo una categoria amata e odiata. Quando racconti sei amato, quando sei con il potere sei odiato. In quarant’anni di carta stampata ho raccontato cose terribili, senza rischiare mai nulla. In televisione mi occupo della Terra dei fuochi, faccio una semplice domanda e mi arriva la minaccia. Insomma bisogna creare un fronte comune insieme, è necessario anche un fondo di assistenza per i giornalisti precari che hanno subito querele temerarie. La proposta che faccio alla Regione è quella di aiutarci a far inserire nel codice penale il reato di minaccia ai giornalisti, così come è stato per gli ecoreati. Avrebbe un effetto dirompente sull’opinione pubblica e sul nostro lavoro”.
Mercoledì 4 novembre 2015
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