Centrale Enel, da policombustibile a biomassa. L'allarme dei sindacati

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Montalto di Castro | è costata 14mila miliardi di lire

Centrale Enel, da policombustibile
a biomassa. L'allarme dei sindacati

Adesso è ufficiale: l'impianto energetico produrrà 5 Mw di potenza e secondo Antonio Filippi, responsabile nazionale della Cgil, sorgeranno gravi problemi occupazionali

di Gianni Tassi

La centrale Enel di Montalto di Castro
La centrale Enel di Montalto di Castro

Tra costruzione e riconversione è costata 14 mila miliardi di lire, di cui 7 miliardi in mazzette a politici, amministratori e imprenditori. Progettata per essere alimentata a energia nucleare è stata poi trasformata a policombustibile (olio e gas) dopo il referendum del novembre del 1987. Una storia travagliata quella della centrale Enel di Montalto di Castro che con i suoi 3600 megawatt di potenza elettrica è la più grande d’Europa. Eppure, nonostante i costi e le promesse, non è mai stata utilizzata nella sua piena potenzialità arrivando a trasformarsi in un fallimento economico per l’Enel e per lo stesso Stato italiano. Tanto che adesso l’ente elettrico ha intenzione di smantellarla quasi del tutto. Una scelta che ha messo sul piede di guerra i sindacati i quali già parlano di un danno per l’indotto con perdita di fatturato e posti di lavoro.

E non stiamo parlando di ipotesi ma di progetti reali dei quali l’Enel ha informato nei giorni scorsi le stesse organizzazioni sindacali. Ventitré le centrali che verranno dismesse. Anche in Italia si fa largo l’energia rinnovabile, gli impianti che sfruttano combustibili fossili sono ormai obsoleti e la loro gestione costa troppo rendendoli per niente convenienti. Da qui l’appello di Antonio Filippi, responsabile delle politiche energetiche della Cgil nazionale. “Il passaggio dai combustibili fossili alle fonti rinnovabili è già iniziato e avverrà nel giro di pochi anni. Un passaggio che – sottolinea Filippi – comporterà una trasformazione radicale per le imprese e i lavoratori del settore”. Gestire la transizione e gestirla da subito altrimenti tra non molto ci troveremo di fronte a migliaia di persone senza lavoro.

Antonio Filippi
Antonio Filippi

“La fase di transizione dal carbonio, come indicato dall’Unione Europea entro il 2050 con l'80 per cento di abbattimento del CO2 – afferma convinto il responsabile per le politiche energetiche della Cgil - sarà necessario saperla gestire con gradualità ed equilibrio altrimenti il prezzo che pagheremo in termini di occupazione sarà molto alto e questo non ce lo possiamo permettere. È indispensabile individuare da subito la strada da seguire per dare garanzie alle imprese e ai lavoratori. Tutti devono essere coinvolti, a partire dal Governo centrale e dagli enti locali; ora è il tempo di agire”. Una situazione, insomma, che rischia di diventare esplosiva.

E la centrale policombustibile di Montalto di Castro rientra tra questi ventitré impianti destinati a cambiare radicalmente pelle. Per l’ecomostro in riva al Tirreno, però, non sarà morte certa bensì si tratterà di un totale e consistente ridimensionamento. La sua alimentazione passerà dall’olio combustile/gas alle biomasse a filiera corta (ovverosia i prodotti per l’alimentazione dovranno provenire da zone non distanti più di 70 chilometri). E la sua produzione di energia non supererà i 5 megawatt (contro l’attuale potenziale di 3600).

E così la grande centrale di Montalto di Castro – 400 ettari di terra rubata all’agricoltura – torna a far parlare di sé.

Una storia travagliata, iniziata nel 1982 quando prendono il via i lavori – già contestatissimi soprattutto dagli ambientalisti – per l’impianto nucleare. Poi l’incidente di Cernobyl nell’aprile del 1986 che portò al referendum contro l’atomo. In quel periodo nel cantiere montaltese lavoravano circa 6 mila persone, tra cui centinaia di trasfertisti. Sull’impianto in riva al Tirreno cala lo spettro dei licenziamenti. Esplode la protesta degli operai che più volte occupano la statale Aurelia e la linea ferroviaria Roma-Grosseto. Cassa integrazione straordinaria e mobilità non riescono a placare gli animi. In molti perderanno il lavoro. Poi la riconversione. Quattro gruppi a olio combustibile da 660 Mw più 8 turbogas da 120 Mw, la centrale inizia la produzione nel 1989. Ma mai a pieno regime. Nei primi anni viene utilizzata per 3 mila ore annue contro le 8760 previste, questo soprattutto a causa degli elevati costi dell’olio combustibile. Intanto continua a far discutere l’aspetto ambientale, nel 2009 ha immesso nell’atmosfera un milione di tonnellate di anidride carbonica, interamente compensati con l’acquisto di circa un milione di Cer (Crediti di emissione del meccanismo di sviluppo pulito). Per entrare in possesso dei Cer necessari, l’Enel ha investito in un progetto in Cina che prevede la distruzione di tonnellate di trifluorometano (potentissimo gas serra). Cosicché se da una parte contribuisce alla riduzione dell’inquinamento in Cina, acquisisce crediti che le consentono di inquinare in Italia.

Negli anni ’90 sulla centrale mette le mani la magistratura. Saltano fuori mazzette miliardarie incassate da politici, amministratori dell’Enel e imprenditori. Nomi importanti, tra gli indagati spicca quello di Bettino Craxi, segretario nazionale dell’allora Psi. L’accusa è di corruzione e violazione del finanziamento pubblico ai partiti. Vanno al patteggiamento l’ex tesoriere della Democrazia Cristiana, Severino Citaristi, gli imprenditori Lorenzo Panzavolta, Italico Santori e Dario Crespi. Per altri 22 imputati rinviati a giudizio - tra cui l’ex segretario del Pli, Renato Altissimo, gli imprenditori Elia Federici, Vincenzo Lodigiani, Angelo Iacorossi, Eugenio Rendo e Franco Nobili, nonché gli ex componenti del Cda dell’Enel Franco Viezzoli, Antonio Cariglia e Piermaria Pellò – arriva la prescrizione del reato. Per Bettino Craxi, invece, la Camera dei Deputati respinge la richiesta di autorizzazione a procedere.

La centrale Enel di Montalto di Castro si mostra come l’ennesimo e forse il più emblematico esempio del fallimento della politica energetica italiana. Un disastro di cui tutti sono colpevoli e per questo, quindi, nessuno ha pagato. Il futuro energetico del Bel Paese resta ancora incerto e se da una parte i sindacati si preoccupano per le conseguenze occupazionali di una trasformazione comunque necessaria, dall’altra c’è chi vede ancora l’Italia inchiodata per convenienza e ignoranza a un piano che continua a spostare gli incentivi dalle fonti rinnovabili a quelle fossili e vorrebbe trasformare la penisola nell’hub del gas d’Europa.

Giovedì 9 luglio 2015

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