Viterbo | Convegno in provincia
L'incontro organizzato dalla Lav riporta il ragionamento su binari scientifici: “Neghiamo che il controllo letale possa essere usato come strumento di gestione e sosteniamo l’uso di metodi di coesistenza per promuovere la conservazione della specie”
di Gianni Tassi
Amato da molti, odiato da altri. Al lupo, al lupo: un grido d’allarme il più delle volte esagerato e ingiustificato che ancora oggi oltrepassa i confini della razionalità e della verità.
Un convegno, quello svoltosi stamattina nella sala conferenze della Provincia di Viterbo in via Saffi, organizzato dalla Lav e moderato da Stefano Sensi, che ha riportato il ragionamento sui binari del dialogo scientifico e della realtà dei fatti. “Uomini e lupi, una convivenza possibile”, questo il tema dell’incontro al quale hanno preso parte studiosi, medici veterinari, ambientalisti e introdotto da Massimo Vitturi, responsabile dell’area animali selvatici della Lav.
La persecuzione del lupo, animale protetto dalle leggi italiane e europee, è stata così grave che a metà del XX secolo in alcuni Paesi la specie era stata decimata e in altri tentava disperatamente di sopravvivere. Nel XXI secolo alcuni conflitti persistono ancora e ce ne sono anche di nuovi. In alcune zone la mancanza di prede naturali, la perdita di habitat e il bestiame non protetto contribuiscono ad aumentare gli attacchi agli animali domestici da parte dei lupi. In altre zone il conflitto sta nella concorrenza con gli esseri umani per la cattura di prede selvatiche così come nella paura delle persone di convivere con un grande predatore.
Una convivenza tante volte assai complicata che vede scontrarsi allevatori e agricoltori con una parte consistente dell’opinione pubblica. C’è chi, addirittura – i primi - vorrebbero abbatterli eliminando il problema alla radice senza invece analizzarla alla luce di studi e ricerche portate avanti da studiosi di tutto i mondo. I ricercatori hanno dimostrato che l’abbattimento non serve ed è anzi controproducente. “Induce affermano – un aumento dei tassi di predazione del bestiame per via della disgregazione sociale causata dalla rimozione di individui”.
Del lupo nella Tuscia hanno parlato Rosario Fico, Istituto Zooprofilattico sperimentale del Lazio e della Toscana e Vincenzo Ferri, esperto del Centro studi naturalistici Arcadia. “Possiamo quantificare il loro numero tra un minimo di 20 e un massimo di 60” ha spiegato Fico. Un numero fluttuante in considerazione che sono animali che compiono spostamenti di decine e decine di chilometri nell’arco di pochi giorni. “A contribuire all’aumento della specie nella Tuscia come in altre zone dell’Alto Lazio e della Toscana – ha sottolineato Ferri – è stato il crescente aumento del numero dei cinghiali che sono la preda preferita dei lupi”. Evidenziando che spesso le segnalazioni di attacchi attribuiti al lupo non sono comprovati da dati certi e casomai imputabili alla specie ibrida lupo-cane.
È toccato poi a Rita Lorenzini, dell’Istituto zooprofilattico sperimentale del Lazio e della Toscana, sfatare miti e leggende metropolitane affrontando l’argomento dal punto di vista scientifico ma anche da quello di chi, in questo senso, opera sul campo. Duccio Berzi, tecnico faunistico, ha parlato di “Prevenzione dei danni e mitigazione del conflitto”. Spesso greggi e mandrie allo stato brado vengono lasciate libere all’aperto senza alcuna protezione e in una situazione di carenza di prede naturali diventano l’unico modo di sostentamento per i lupi. “I metodi tradizionali quali la sorveglianza umana, l’uso di cani specializzati nella guardia, come ad esempio i pastori abruzzesi, in combinazione con recinzioni elettriche – ha detto Duccio Berzi – possono limitare gli attacchi dei lupi e rappresentano una soluzione sostenibile ed etica a lungo termine”. La ricerca in questo campo è in continua evoluzione e le soluzioni innovative possono essere preziose nel prossimo futuro.
Ha chiuso la serie d’interventi Antonio Pollustri, dell’area biodiversità del Wwf Italia, illustrando al pubblico i risultati di una recente indagine demoscopica in provincia di Grosseto.
Poi le domande dal pubblico che hanno portato alla ribalta un altro problema non da poco: spesso i mass media - carta stampata, giornali on line, radio e televisioni – diffondono notizie riguardanti i lupi fidandosi dei comunicati stampa di attori spesso di parte che raccontano verità non sempre accertate. Dando la colpa ai lupi di stragi attribuibili ad altri se non addirittura inesistenti. Da qui la necessità della presenza in loco di un referente scientifico che possa diventare interlocutore di chi sull’argomento deve dare notizie giuste e supportate da dati scientifici e tecnici certi.
“Noi sottoscritti neghiamo che il controllo letale possa essere usato come strumento di gestione del lupo e sosteniamo fortemente l’uso di metodi di coesistenza per promuovere la conservazione della specie”. Questo l’appello a difesa del lupo sottoscritto di recente dai maggiori ricercatori mondiali.
Sabato 7 maggio 2016