Viterbo | l'intervento
L'intervento del giornalista, blogger e direttore di Move Magazine sull'intallazione realizzata dall'artista Mauro Magni inserita in via Pietra del Pesce, a pochi passi dal quartiere medioevale San Pellegrino
Marte (Gaza) è un'intallazione realizzata dall'artista Mauro Magni inserita in via Pietra del Pesce, a pochi passi dal quartiere medioevale San Pellegrino, a Viterbo. Ma quanti sanno della sua esistenza? E perchè, come tutte le opere d'arte, non è corredata da un cartello informativo? Le riflessioni di Francesco Mecucci, giornalista, blogger e direttore di Move Magazine.
La mia città, Viterbo, è ricca di monumenti e testimonianze storiche, soprattutto medioevali e rinascimentali. La consiglierei al turista? Tutto sommato sì, ma con qualche avvertenza.
La mentalità chiusa e provinciale è stata (ed è ancora) il limite di Viterbo, che purtroppo non ha mai conosciuto un vero e proprio sviluppo turistico e culturale. Solo da pochi anni sta mettendo mano, molto parzialmente, alla valorizzazione del suo patrimonio. Per il resto ci sono tante potenzialità inespresse e una certa mancanza di identità. Problema, quest’ultimo, che si riflette nell’anonimato che caratterizza sia i quartieri moderni, sia varie parti del centro storico. Arte e architettura contemporanee di valore, ad esempio, a Viterbo sono praticamente assenti.
Per questo mi ha sorpreso positivamente l’installazione permanente situata a pochi metri dal quartiere di San Pellegrino, uno dei nuclei più caratteristici di Viterbo. Si tratta di Marte (Gaza) ed è un’installazione pittorica site specific realizzata dall’artista romano Mauro Magni in occasione di un evento svoltosi nell’agosto 2015, Corpus 1462.
L’INSTALLAZIONE
Marte (Gaza) è un invito alla riflessione interiore, come unica via per il cambiamento contro il caos imperante generato dai conflitti della società contemporanea. Marte, il dio della guerra, è simboleggiato da una torre di Babele in macerie, perché distrutta dai conflitti senza fine – bellici e non solo – dell’uomo. L’opera si sviluppa su due facciate, all’angolo di un palazzo apparentemente senza valore di cui finisce per esaltarne l’architettura, instaurando un dialogo con la struttura urbanistica della città, tipico di questo genere di interventi.
Marte (Gaza) è percorsa dal testo di una preghiera corale. Si tratta della terza e ultima parte delle intenzioni di pace invocate l’8 giugno 2014 nei Giardini Vaticani da Papa Francesco, dal presidente israeliano Shimon Peres, da quello palestinese Abu Mazen e dal patriarca Bartolomeo I, per far cessare l’eterno conflitto in Medioriente attraverso un gemellaggio di religioni. Questa parte della preghiera è recitata in arabo dagli islamici.
Tuttavia il lato oscuro del sacro e il conflitto tra bene e male emergono in tutta la loro veemenza. Le parole sono sfumate, come se fossero state cancellate da una lavagna, mentre rimane netta l’invocazione O DIO che si ripete spesso e, compattandosi progressivamente, diventa ODIO. Svanite le buone intenzioni, resta quindi soltanto l’odio, insieme allo scheletro inquietante di una torre devastata, metafora di un’umanità proiettata verso l’autodistruzione.
RIFLESSIONI
Non sono uno storico dell’arte e nemmeno un esperto di arte contemporanea, quindi ciò che sto per dire sono considerazioni personali da semplice osservatore o, al massimo, giornalista.
In ogni caso, Marte (Gaza) mi piace. Dà valore a un muro che altrimenti sarebbe rimasto anonimo. Porta novità in una città che spesso non va a braccetto con i cambiamenti. Anche se si trova nel cuore antico (lo stesso edificio interessato dall’intervento ha comunque una sua storia), è importante riuscire a coniugare, laddove possibile, il passato con il presente. Il tema, inoltre, è a dir poco fondamentale di questi tempi: il dialogo tra le religioni, per scongiurare l’avanzata dell’odio e la reciproca distruzione.
Il centro storico di Viterbo, in decadenza e mai veramente valorizzato, ha bisogno di essere riempito di contenuti attuali e di qualità. Come già detto, infatti, molte zone della città sono del tutto anonime, o peggio adornate da monumenti di nessun valore. A parte la Fontanasfera di Claudio Capotondi (in abbandono) e Il risveglio di Seward Johnson, la città non ha altre opere contemporanee di impatto che, al pari di un attento e accurato recupero delle sue parti monumentali antiche, le darebbero un senso più moderno e una maggiore identità. Fonte: www.francescomecucci.wordpress.com
Sabato 16 gennaio 2016