Viterbo | se ne parla anche nella tuscia
Dopo il caso siciliano del pensionato attaccato da un animale selvatico torna alla ribalta l'argomento e il dibattito è vivo anche nella Tuscia. Tra coloro che ne invocano lo sterminio e quelli che propongono soluzioni di controllo a lungo termine
di Sabrina Mechella
Uomo morto a Cefalù per l’attacco di un cinghiale, torna alla ribalta l'argomento e il dibattito è vivo anche nella Tuscia. Enrico Panunzi, presidente Commissione Ambiente Regione Lazio, a proposito del fatto di cronaca siciliano, sostiene che quelle dei cinghiali sono “emergenze e catastrofi” e che la Pisana, contrariamente alle altre regioni italiane che ancora stanno ferme a guardare, “ha approvato il 25 febbraio 2015 una legge che disciplina prevenzione, indennizzo e controllo dei danni degli animali”. Panunzi non entra nel merito sul come la Regione Lazio eserciti questo controllo, ma quello che è certo è che da più parti si invoca l’abbattimento degli animali selvatici.
Ma c’è chi, come la Lav di Grosseto, sostiene che questa non è la soluzione al problema: “Se i nostri politici continueranno a seguire la via indicata dai cacciatori i cinghiali prolifereranno - scrive in una nota la lega antivivisezione -. Questo è l’effetto degli abbattimenti, che comportano lo spostamento degli animali in nuovi areali per effetto delle braccate e producono un rimbalzo sulla riproduttività con incremento del numero. Purtroppo non è negli interessi dei cacciatori (e quindi dei politici) sviluppare e diffondere metodologie di controllo non cruento della specie, come i vaccini sterilizzanti. E che dire, infine, delle morti umane causate dalla caccia? Quando accadono perché nessuno propone di abolirla?”.
“D’estate tutti gli animali soffrono la carenza d’acqua ricercandola anche avvicinandosi ai centri abitati da cui normalmente si terrebbero ben distanti data la pericolosità dell’uomo – scrive Christiana Soccini, animalista viterbese -. E tutti gli animali in possesso della prole aumentano i livelli di soglia dell’attenzione e della reazione a possibili pericoli: ciò vale per l’orso, il cinghiale, il cane, le vespe… l’uomo. Unite ad altri fattori, queste condizioni aumentano il conflitto con le comunità umane. E se una specie è molto diffusa in un territorio le occasioni conflittuali aumentano di conseguenza. Ha ragione la Coldiretti quando, per quanto riguarda i cinghiali, riferisce sostanzialmente di una cattiva non-gestione venatoria di antica memoria – continua Soccini -. La caccia infatti non serve a riequilibrare armonie faunistiche gravemente compromesse proprio a causa delle attività di caccia incontrollata. Da un lato pastori e agricoltori, che generalmente sono anche cacciatori, lamentano perdite di bestiame a causa dei predatori naturali invocando lo sterminio dei lupi, ottenendo incredibilmente l’aperta solidarietà di organizzazioni come Coldiretti, per poi lamentarsi dell’eccessiva presenza delle prede predilette dai lupi: i cinghiali, appunto.
Questi territori si identificano da sempre con la caccia al cinghiale, varietà ormai non più originaria ma che mantiene il legame con le foreste planiziali a querceto, ed è risaputo che è proprio interesse di quanti praticano la “cacciarella” mantenerne presenze numericamente consistenti.
Per non parlare delle continue immissioni effettuate nelle aziende agricole venatorie, numerosissime sul territorio, e che non garantiscono alcun contenimento degli animali, o degli altrettanto costosi smaltimenti di carcasse dei cinghiali abbattuti messe in carico al portafoglio di pantalone. L’interesse verso i cinghiali – sottolinea l’animalista - che puntualmente si rinnova d’estate, all’approssimarsi della redazione dei calendari venatori, è la seguente: più ci si lamenta dei cinghiali (o degli storni, o di qualsiasi altra specie ormai residua), più competizione si crea con il settore agricolo, più preaperture e postaperture venatorie si ottengono. Le attività di caccia di selezione, va detto, sono mere attività paravenatorie che ad ogni tornata elettorale e alla chiusura di ogni stagione di caccia qualcuno torna a prospettare come panacea conservazionista. In più il ritornello finisce per insistere sulla riapertura della caccia di selezione nelle aree protette, maniera subdola per aprire tout-court la caccia nei parchi.
Da decenni assistiamo a continui studi e redazione di piani di intervento – conclude Soccini - onerosi, su commissione degli enti locali, che non hanno mai ottenuto il benché minimo risultato. La bibliografia scientifica però ormai abbonda di stratagemmi e interventi consolidati adottati al fine di contenere i danni da cinghiale che, ovviamente, però richiedono tempo ed impegno reale data l’alterazione centenaria apportata dall’uomo sugli equilibri ecologici. Certo è che il clima sobillato verso la fauna selvatica preoccupa, soprattutto in un territorio che delle sue bellissime valenze faunistiche dovrebbe farne un punto di forza: perderemo anche questo treno?”.
Martedì 11 agosto 2015