Viterbo | Stamani nel palazzo di giustizia viterbese un minuto di silenzio
I fatti di sangue del palazzo di giustizia milanese hanno scosso coloro che lavorano all'interno dei tribunali e portano a fare domande sulla sicurezza. Il presidente dell'ordine dei legali viterbesi: «Da noi livello di attenzione sempre alto»
di Sabrina Mechella
Un minuto di silenzio in tribunale a Viterbo in ricordo del giudice Fernando Ciampi e dell’avvocato Lorenzo Alberto Claris Appiani morti ieri in tribunale a Milano sotto i colpi di pistola di Claudio Giardiello, ex immobiliarista a processo per bancarotta fraudolenta. A chiedere questo gesto di rispetto nei confronti di chi è morto nello svolgimento delle proprie funzioni l’Ordine degli avvocati di Viterbo, richiesta accolta dai giudici monocratici e del collegio.
Stamani nel palazzo di giustizia viterbese si respirava un’aria apparentemente normale anche se, proprio oggi, l’ispettorato del lavoro ha svolto alcuni accertamenti burocratici nei confronti delle guardie giurate che hanno il compito di controllare chi entra nella struttura. Oggi si sarebbe dovuto svolgere anche un vertice tra procuratore capo, Alberto Pazienti e gli addetti alla sicurezza del tribunale ma sembra che poi questo non abbia avuto luogo. Proprio in queste ore sono stati i vigilantes milanesi i primi a essere ritenuti responsabili dell’accaduto per via della pistola introdotta nel palazzo di giustizia e questo ha provocato una certa amarezza nella categoria tutta che ritiene invece di svolgere questo mestiere con zelo e responsabilità.
Sicuramente scosso per l’accaduto Luigi Sini, presidente dell’Ordine degli avvocati viterbesi, soprattutto per gli effetti mediatici del gesto di Giardiello: «C’è il rischio emulazione in questi casi – commenta – però c’è da considerare che questo è un atto compiuto da una persona totalmente alterata e quindi un qualcosa di non prevedibile. Per quanto riguarda la sicurezza nel nostro tribunale posso dire tranquillamente che il livello di attenzione è sempre stato alto: gli addetti controllano attraverso i metal detector sia le persone, sia gli oggetti. È vero che noi avvocati, gli impiegati, i magistrati e le forze dell’ordine passano attraverso il tornello, ma c’è anche da dire che il personale della sicurezza ormai ci conosce tutti e sarebbe assurdo ogni volta controllarci di nuovo. Se poi – continua Sini – parliamo di follia, come sembra sia stato il gesto di questa persona, è chiaro che chiunque di noi è potenzialmente pericoloso e capace di atti estremi. Detto questo è preoccupante una certa denigrazione della cosa pubblica, questo continuamente voler sminuire, delegittimare il ruolo di coloro che operano nel settore giustizia: avvocati, magistrati, forze dell’ordine. Questo crea un clima pericoloso di mancanza di rispetto per le istituzioni che può portare anche ad atti estremi.
Per quanto riguarda la nostra professione – conclude Sini – c’è da dire che il nostro ruolo è quello di una persona che deve portare le istanze di un cliente davanti a un giudice che decide in base alle leggi. Non sempre le cose vanno come vorrebbe il cittadino privato e quelli che pagano lo scotto, spesso, siamo proprio noi. Credo che ogni avvocato si sia trovato in situazioni pericolose, in cui si è sentito poco sicuro o addirittura minacciato. Certo, pensare che io stesso ho iscritto tanti di noi che oggi hanno l’età di Claris Appiani, mi provoca un grande, grande dispiacere».
Venerdì 10 aprile 2015